L’importanza di chiamarsi lavoratori, ossia delle corti del Regno Unito alle (p)rese con il lavoro a chiamata attraverso le piattaforme
DOI:
https://doi.org/10.6092/issn.2421-2695/9610Parole chiave:
Digital platforms, Gig economy, Platform work, Employment status, UKAbstract
Il presente articolo analizza l’evoluzione, invero ancora in fieri, di due casi giurisprudenziali britannici che si stagliano quali esempi paradigmatici del lavoro nella cosiddetta gig economy, ossia del lavoro on demand attraverso le piattaforme: il caso di Uber e quello di Deliveroo.
Seppur riferiti a due casi che sono attualmente in discussione presso livelli differenti della giurisdizione britannica (Uber è ormai giunto alla Corte Suprema, mentre il giudizio Deliveroo pende ora innanzi alla Corte d’Appello di Londra), i due giudizi presentano almeno due punti rilevanti per il lettore, anche italiano: innanzitutto, entrambe le piattaforme in considerazione presentano un modello di produzione di servizi assai similare, pertanto pare opportuno affrontarle congiuntamente; inoltre, entrambe le questioni giuridiche vertono sul riconoscimento dello stato di worker, la categoria intermedia che il diritto britannico, almeno nelle intenzioni originarie del legislatori, prevede per assicurare a lavoratori non pienamente subordinati di godere comunque di un nucleo minimo di tutele lavoristiche. Pertanto i due casi sono rilevanti per una verifica del funzionamento (e della funzione) di tale categoria.Riferimenti bibliografici
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